Quali sono le attività più importanti (nel digital marketing)?
Perché proprio la strategia, la pianificazione e l’analisi dati?
Annosa questione: l’importanza delle attività “collaterali” o di “preparazione e controllo” all’interno del comparto digital, più nello specifico digital marketing o digital fundraising.
Quanto sono importanti? Perché di norma vengono fatte così male, anche se a parole sembriamo tutti dei convinti sostenitori di Sun Tzu? Perché impieghiamo molto più tempo nella creatività, nella stesura dei contenuti, di quanto ne impieghiamo per queste altre attività?
Ho scritto questo articolo perché, di fondo, sono sempre stato un nostalgico, fissato con strategia, pianificazione e analisi dati: sono attività che vedo maltrattate da anni, chiamate in causa ogni mese e dopo mezz’ora dimenticate. Per cui ecco il pistolotto.
Che cosa significa avere un piano strategico?
Avere un piano strategico, o una strategia definita, non significa guardarsi in faccia ad inizio anno e dire “quest’anno facciamo così e colà”. Vi piacerebbe.
Una strategia è, per dirla come wikipedia, “è un piano d’azione di lungo termine usato per impostare e coordinare azioni tese al raggiungimento di uno scopo od obiettivo predeterminato”. Possiamo tradurlo, riassumerlo e adattarlo al digital marketing o al digital fundraising con decidere come vogliamo provare a raggiungere i risultati che ci siamo proposti.
Un piano strategico può essere più o meno definito, realizzato tramite modelli sintetici oppure espresso in pura forma verbale. L’importante è che abbia al suo interno una caratterizzazione ben precisa, rispetto alle varianti che vogliamo affrontare tramite le nostre campagne (e.g. testare campagne lunghe, temi di un certo tipo, un particolare approccio) e che, in prospettiva, dovrebbe anche darci la risposta alla fatidica domanda “che cosa funziona e cosa no?”, ma su questo torneremo più tardi.
Come si arriva a pianificare nel tempo le attività
Abbiamo un piano strategico, bene. E ora?
Ora lo traduciamo in fasi, in macro-periodi, poi in micro-periodi, infine in singole attività e le pianifichiamo pazientemente nel tempo. Partendo dall’assunto del Cardinale Richelieu, altro colosso quando si parla di citazioni a caso su strategia e simili,
L’esperienza dimostra che, se si prevede da lontano il disegno che si desidera intraprendere, si può agire con rapidità una volta venuto il momento di eseguirlo
Ovviamente per disegno possiamo intendere una strategia, di cui la pianificazione delle attività diventa l’applicazione nel tempo dei principi e delle idee che nella strategia stessa abbiamo deciso di perseguire. La pianificazione è quindi la sorella pragmatica del piano strategico, dove il piano può essere molto teorico e astratto la pianificazione necessita di precisione e determinatezza. Anche la pianificazione ci darà moltissime risposte ad altrettante domande, e siamo quasi arrivati al punto.
La famigerata analisi dati (e reportistica)
Abbiamo una strategia, abbiamo un piano: non ci resta che seguirli. Aspetta, ma non ci siamo persi qualcosa? Le risposte a certe domande come le troviamo?
L’analisi dati è un po’ l’avvocato del diavolo delle due attività precedenti: abbiamo teorizzato una strategia invincibile, abbiamo immaginato la campagna e i test che l’accompagneranno, l’abbiamo pianificata nel tempo con perizia infinita; nulla potrà andare storto. Fino a che non facciamo analisi dati, la sorella antipatica e puntigliosa, che vuole dimostrare a tutti i costi che no, quella strategia non era così inattaccabile.
L’analisi dati deve essere vista come quel processo che chiede conferma di tutto ciò che abbiamo detto nel piano strategico: abbiamo pensato di fare una campagna multicanale perché teoricamente più efficace. È stato effettivamente così? Come lo verifichiamo nello specifico? Una eventuale differenza (positiva o negativa) con le campagne monocanale può dipendere da questo oppure dipende da altri fattori?
Interdipendenza positiva (basta col circolo virtuoso…)
Se facciamo bene i compiti a casa, il trittico strategia-pianificazione-analisi dati, a cui segue una nuova fase di riassetto e aggiustamento, diventa un processo continuo di testing sul campo, raccolta dati, verifica e perfezionamento che ci porterà a crescere sul lungo periodo in maniera controllata ma soprattutto cosciente (il famoso circolo virtuoso, sì, ok, l’ho detto):
- pensiamo ad una strategia;
- la pianifichiamo nel tempo;
- ne analizziamo i risultati;
- verifichiamo le parti più efficaci della nostra strategia;
- strutturiamo la nuova strategia sulla base degli elementi più performanti;
- tenendoci il classico 20%-25% di spazio per nuovi test, pianifichiamo il tutto;
- attendiamo i risultati e li analizziamo;
- e così via…
I rischi del mestiere
Perché prima ho posto l’attenzione sullo sviluppo cosciente? Perché è proprio qui che casca l’asino. Se anche solo una delle tre parti di questo processo non è stata studiata e realizzata con cura, crolla tutto il castello:
- se la strategia non è chiara, non è ben definita, rischiamo di non sapere quali domande farci nella fase di analisi: se non conosco o, ancora peggio, non ci sono fattori che caratterizzano la mia strategia e la rendono specifica e riconoscibile, non saprò mai che cosa ha funzionato e cosa no;
- se la pianificazione non è puntuale e realistica rischiamo di non riuscire ad applicare la strategia alla campagna, a saltare le scadenze e, molto spesso, a non realizzare intere parti del nostro piano iniziale, con evidenti ricadute in termini operativi, di risultati e di possibilità di analisi;
- se l’analisi non è precisa, non risponde alle giuste domande con precisione, ci fornisce solo dati generali o semplicemente non sappiamo misurare i giusti indicatori per capire se un elemento è stato efficace o meno alla fine del periodo pianificato non avremo alcuna risposta a tutte le domande che ci siamo posti.
In sintesi, non può bastarci fare attività di digital marketing o digital fundraising in crescita: la nostra crescita deve essere cosciente per essere ripetibile nel tempo.
Cerchiamo di essere realistici!
Quello di cui abbiamo bisogno a fine anno è quindi saper indicare, con certezza e non “per esperienza” o “a intuito”, che cosa ci ha portato un determinato risultato e cosa no.
Questo non significa per forza di cose che dobbiamo avere un piano strategico elefantiaco, una pianificazione svizzera o un’analisi dati eccessivamente approfondita. Tutti noi lavoriamo con quello che abbiamo e dobbiamo saper adattare le lavorazioni alle necessità e alla situazione contingente in cui si trova il nostro progetto, qualunque esso sia.
Possiamo accontentarci di un piano strategico che, per l’anno venturo, vuole testare un nuovo canale di acquisizione per un’attività di digital marketing o digital fundraising; di una pianificazione delle attività trimestrali, per macro-periodo, che definisce gli aspetti principali di ogni fase; di un’analisi dati che semplicemente paragona gli indicatori di risultato relativi (e.g. cpc, cpa e roi) tra il nuovo canale e gli altri canali su cui abbiamo già lavorato.
Anche perché il tempo impegnato per tutte queste attività non è da sottovalutare e non sempre è disponibile.
Non facciamo i digital guru
Detto questo, stabilito quindi il limite minimo da tenere per rendere queste attività efficaci e utili, usciamo per un attimo dal mondo del teorico e scendiamo nella pratica: ci sono moltissimi casi dove, tutte queste attività, per quanto importanti sul lungo periodo, possiamo e dobbiamo saltarle a piedi pari.
Parlo di tutti quei casi dove lavoriamo per una tempistica limitatissima, per progetti senza budget o per attività senza velleità di crescita.
Mettiamoci una mano sulla coscienza e ammettiamolo senza remore: siamo stati tutti gli ammiocuggino di qualcuno, almeno una volta nella vita. E ammiocuggino non interessano minimamente la strategia, la pianificazione e l’analisi dati.
Per cui, se stai facendo digital marketing o digital fundraising e vedi che non c’è necessità o non viene richiesta nessuna di queste attività, forse è arrivato il momento di farsi qualche domanda.